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Cafaro

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La quercia della Madonna del Càfaro


Ora, per recarsi alla cappella della Madonna del Càfaro c’è la pista asfaltata che parte dalla cappella della Madonna della pietà, la Fontana del corno, lo scarazzo di Levante e il canale che sbocca alla fiumara Avena. Quando arrivi in quella piccola vallata nascosta dal bosco ti viene in mente l’antica abbazia di Santa Maria del Càfaro, dove vivevano i monaci basiliani e l’abate mitrato del Medioevo.

Ora, i Chidichimo hanno venduto quasi tutto; trovi le recinzioni con ferro spinato, ma nella cappella ci sono ancora le statue della Madonna, di San Giuseppe e di San Luigi, e le lapidi marmoree delle tombe dei Chidichimo, che fino al 1970, anche quelli che morivano lontano dalla loro terra natìa, vollero essere sepolti nel silenzio e nella pace di questa solitaria vallata. Il reverendo don Pietro De Tommaso, che fu l’ultimo a possedere questi beni, aveva collocato un piccola targa con un verso del poeta Orazio: quest’angolo di terra mi è molto caro.

C’è pure la campanella che il vecchio “cafaràro” Leonardo Cassano (Lenàrd’a màstr), ogni sera faceva rintoccare col dolce richiamo dell’Ave Maria.

A me piace partire a piedi, dall’ex Piano giumenta, passare per la contrada Crucicella e immettermi nel tortuoso sentiero coperto di macchie, leccio e pinastri che sovrasta la radura del Càfaro.

Era questa la strada che praticavano i contadini per recarsi alle loro masserie della contrada Destra. Ma questa era anche la strada che portava alla Madonna del Càfaro. Ogni 15 di agosto, gli albidonesi la percorrevano, parte a cavallo e parte a piedi, usando gli asinelli carichi di sportoni pieni di cibi e fiaschi di vino.

In quegli anni, non avevano ancora tagliato le querce secolari che avevano piantato i monaci; i pellegrini, dopo aver ascoltato la messa e seguito la processione attraverso gli ulivi e i tanti alberi da frutta, si fermavano a mangiare allegramente al fresco di quelle piante maestose. Un po’ di acqua si attingeva alla fontanella della Madonna, sotto la pianta del fico. C’era pure una grossa piante di lauro e ognuno staccava una ramoscello, perché “era benedetto dalla Madonna”, che era apparsa a una bambina, proprio vicino alla fontana.

La festa della Madonna del Càfaro era sempre affollata di gente che proveniva dal paese e dalla campagne della Destra, Marraco e Santappico. Balli, canti e suoni si prolungavano fino alla serata. I giovani giocavano alla morra, sotto la quercia della Madonna. Questa pianta fu l’unica a non essere stata abbattuta, perché è la quercia della Madonna e si mantiene sempre verde, d’estate e d’inverno. Qualcuno ci voleva pure provare a tagliarla, ma quando vi poggiò la lama del motosega, uscirono tre grosse serpi e misero in fuga quell’imprudente boscaiolo.


A cèrz d’a Madònn’u Cuàfere
U quìnnice’agust, cu gli
ciucc nt’u pennìne,
faciemm’i pilligrìne:
allà, c’è lla Cappell’u
Cuàfere, nt’a vascère,
tra’a Potent’e lla iumàre.
Cu iòchede a lla murr,
cu ball cu gli suòne,
cu prèghe pi’ sta buòne.
C’ed’ancòre, a cerz d’a
Madonn,
cu la tocch gha gguàie’e
dann !

Madonna del Càfaro: processione, pranzo all’aperto, balli, il gioco della morra sotto la quercia sempreverde della Madonna. Si crede che questo albero si mantenga sempre verde perché “è della Madonna”; chi lo tocca potrebbe essere condannato a qualche disgrazia (!)

La Madonna non voleva stare alla “Vigna nova”


C’è un testamento del 1828, del monaco don Luigi Rinaldo Chidichimo, il quale volle costruire una cappella nella sua proprietà di Santa Maria la Nova, detta ancora “Vigna nuova, di contrada Marràco. Si racconta che la statua della Madonna fu prelevata dall’ex santuario del Càfaro, dagli stessi Chididchimo, e portata nella nuova chiesetta. Ma la Vergine non voleva essere spostata e si faceva trovare sempre al Càfaro. I Chidichimo la portavano di nuovo a Marràco, fino a quando sopraggiunse un terremoto (ma si trattò di un vasto movimento franoso) e distrusse la cappella della “Vigna nuova”, salvando, miracolosamente, soltanto la statua, che fu riportata per sempre al Càfaro.
"Su queto fatto ha scritto qualcosa uno scrittore cosentino, Giulio Palange. "Se s’incavola la Madonna"
In località Càfaro esisteva da diversi secoli il monastero basiliano di Santa Maria, in cui era custodita e venerata una statua lignea della Vergine; poi, agli inizi del milleottocento, diventò proprietaria di quelle terre la famiglia Chidichimo, che s’affrettò a costruire altrove una nuova chiesa e a trasferirvi la statua. Senonché, la Vergine, affezzionatasi ormai alla vecchia dimora e insoddisfatta della nuova sistemazione, se ne ritornò nottetempo al monastero. Ma i Chidichimo, che come tutti i “signori” non sopportavano d’essere contraddetti manco dalla Madonna, la riportarono alla chiesa nuova. Al che la Vergine perse la pazienza e provocò un tale terremoto a rotelle che tutta la proprietà dei cocciuti Chidichimo finì sottospra.

Giulio Palange; La regina dei 3 seni; Rubebettino, 1997


Fonte: Giuseppe Rizzo

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