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Fontane

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LE FONTANE
Le sorgenti della periferia
(più vicine al centro abitato)

Anche queste che stiamo per menzionare sono disperse nelle immediate vicinanze di Albidona e tra i bacini delle fiumare Saraceno, Pagliara e Avena.
Appena usciti dal rione Llarrièra del centro abitato, dopo la casa Pastatosta e sottostante la via che porta verso il Timpòne Catubo e dove oggi è ancora qualche porcile, c’era la fontanella della Costa’i ll’àmmua: vi erano tre fontanelle (i vùreghe), l’acqua er molle, non era potabile ma si usava soltanto per gli usi domestici e per impastare la creta nella costruzione delle case.

Prima di arrivare a Catubo, scendi a sinistra, guardi alcuni pioppi che sono il segnale della sorgente di Ganìno: scorre lentamente ma è considerata potabile e sufficiente per riempire i barili. Se vai col ciùccio è raggiungibile in quindici minuti. Sotto il Catubo, nel tererno di “Piscrìglio”, c’è un’altra fontanella che serviva per il solo proprietario.

Se invece pieghi nella discesa di destra, verso il bosco Iràce, prima di arrivare a Cardèo, trovi la sotto una folta macchia di leccio, la fontana di Praìle, più fresca ed abbondante. Ci vuole una mezz’ora a piedi.
Vicino alla piccola casa rurale del Cardalàno (oggi, di Francesco Adduci) ci sono altre fontanelle. E ancora più sotto, quasi all’inizio del sentiero che conduce al canale del Filliroso, c’è un’altra piccola fontana di capelvenere. Dicono che la buona acqua è proprio quella vicina al capelvenere.
Nemmeno le fontanelle del Pisciòttolo (nel dirupo, sotto la casa di Stella) e del Pozzo (sotto il vecchio Convento) sono potabili: servivano solo per abbeverare le bestie e per gli usi domestici.
Le donne vi andavano a lavare i panni. Ancora più sotto, tra il centro abitato e la sorgente della fiumarella Paglàro che sbocca nel mare di Trebisacce, ci sono le sorgenti di Marletta (nel passaggio del canaletto che solca il Ferrainàro) e della Fontana granna (dei Violante), hanno entrambe una discreta portata, sono anche fresche ma non di hrande qualità.
Con la cavalcatura, ci voleva un’ora e mezza (andata e ritorno): scendendo lungo la strada per Trebisacce, ti sposti a sinistra della cappella della Pietà e trovi, sulla strada per il Càfaro, la più nota e frequentata fontana del Corno. Nelle sottostanti vigne ci sono altre fontanelle private.
Quella del Corno è buona, ma una volta si aveva paura delle sanguette (le sanguisughe) che “se le ingoiavi con l’acqua, quelle si attaccavano dentro la gola, ti succhiavano il sangue e ti facevano seccare come il legno”. Pure con un’ora all’andata e con un’altra per il ritorno, le altre fontane meno lontane dal centro abitato erano Mastro Camillo, Timpicella e Carbonello.

Fontana della Timpicella(a Funtàna d’a Timpicell): è detta così, perchè si trova sopra un piccolo dirupo di roccia bianca, la “timpa” (vocabolo di origine greca), tra il bosco della Potente, l’inizio della fiumara Avena e le contrade Canterro, Valle della grotta e Cascòne. Dista un chilometro e mezzo dall’abitato. L’andata, tutta in discesa, il ritorno, in faticosa salita.

Il sentiero di accesso iniziava presso il Piano giumenta, si scendeva per la “timpa” di S. Rocco, e attraverso tornanti di
verde siepi che ciudevano le belle vigne del Friedo, si arrivava nella vallata di pino, leccio e ginestre, dove sgorgava questa bella sorgente. L’acqua della Timpicella era ritenuta una delle migliori, “per freschezza, limpidezza e leggerezza”, dice la gente. Sotto la fontana, c’era sempre un’orto rigoglioso.

Fontana di Mastro Camillo (a Funtane’i Mast-Guamill): si trova nello stesso sentiero e poco
prima della “Timpicella” ma con minore portata d’acqua. Perchè questo nome ? C’era, in Albidona qualche artigiano che si chiamava Mastro Camillo ? Nei registri del Comune e della Parrocchia incontriamo sempre il femminile Camilla e mai Camillo.
Nel bosco della Potente, vicino alla sorgente solfurea, c’è pure una fontanella d’acqua naturale.


Bacino del Saraceno (da Frangiardi a Mostarico)

E’ quasi un lungo promontorio, incuneato tra gli spartiacque del Saraceno e della Pagliara e parte dal “Timpòne” di Sant’Elia, finendo sopra la Torre Petagna di Mostarico. Questa è una terra rossa e pietrosa, ma contrariamente a quanto potrebbe sembrare, ha pure delle piccole presenze d’acqua di buona qualità.

Versante Saraceno:

Da Frangiardi all’Alichèto e al Filliroso abbiamo contrade che sono scarse di acqua. L’ Alichèto, creta rossa, come quella di Mostarico, ha poca acqua: i contadini Pallòne e Paòne si dissetavano al limitrofo Saraceno e alle piccole sorgenti che ancora oggi vengono ricordate con i nomi di Fontana Pallòne, la vùriga’u Guidàto, un’altra vùriga sotto la terra di Rallo e Mancòne di San Pietro.
Nella profonda vallata del Filliroso la Fontana di Peppe, molte volte, è secca d’estate; invece quella di Vilìncio, che è proprio sul canale Iràce, è sorgente perenne.
Per seguire il versante del Saraceno, torniamo verso il centro abitato: abbiamo già menzionato le
fontane della Coste’i ll’àmmua, Praìle e Ganìno; scendendo verso Cardèo, trovi la fontanella
della
Fornace, vicino le terre dei Matarrese; ancora verso Cardèo e il Mulino Chidichimo ci sono le
fontane dell’Orto di Piùne, quella della “timpa” di Michele Sceppantònio e altre piccole
sorgenti.
Seguendo la fascia che si allunga sotto la strada di Mostarico, per il sentiero della Zilòna e
Granzìni, ci sono le acque della Fontana’i llària (o di Piràgine, per l’omonima terra), del
Sontònio
e di Marcourbano, quest’ultima “è una delle più leggere ed’è stata esaminata anche da un
esperto”, dice la gente. Se scendi in contrada Mulèo, quando sei sul viottolo della masseria del
Vammàno vedi la piccola Fontana del lauro, ma scendendo ancora giù, nella vecchia masseria di
“Antuòno”, trovi, ormai sepolta nei roveti, la bella Fontana Pallotta. Se poi ti inerpichi in
questo
costone cespuglioso sopra l’antica nmasseria Cozzarro, incontri le fontane della Costa Sciarappo,
Malcoffo, Fontana’a gròmita, Mastrogiovanni, dell’Orto di Rago e la fontana presso la
masseria Lofrano. Queste ultime tre sorgenti sono ancora rinomate “per l’abbondanza e la
freschezza dell’acqua”. E se scendi sulla riva del Saraceno ti potrai rinfrescare alla fontana di
Colocastro di Basilio Brunetti: qui potrai riposarti “accanto alla sorgente presso un alto
frassino”,
scrive Francesco Giorgio.
Bacino del Pagliàra
(dalla Manca di Mostarico, Pescara a Santa Caterina ecc.)
In questo bacino includiamo anche la Manca di Mostarico. Qui c’è la fontana di Varrilàro, è sulla
vecchia mulattiera Albidona-Trebisacce, sgorga sotto le masserie dei Lizzano (Converti).
Avvicinandoti verso Albidona, ci sono le più note fontane di Lungro (a funtàna’i Llùnghere) e
Paisinìno: specie la seconda, ha buone acque. Invece, la fontana di Lungro, un altro locus amenus
del nostro territorio, perchè scorre all’ombra di pioppi secolari e di un rigoglioso lecceto,
piace
meno di una volta.
A ridosso della fiumarella Pagliara sono le contrade di Valle bruca, Tròdio, Soletta e Runci. Di
fronte alla Manca di Mostarico, sotto il cimitero, ci sono la Fontana’a gatta (nella terra di
Giommàrio, oggi Sciarappo) e quella della Pescara (terra Gentile, oggi di Giammarìa), Runci e la
più nota fontana di Santa Caterina. In quest’ultima si dissetano non solo i contadini di quelle
contrade ma arrivano anche dal paese: “Santa Caterina è un’acqua fina”. Dopo di queste, non c’è
che arrivare alla fontanella di Puzzoianni.


Bacino dell’Avèna
(da Carbonella a Mezzana)
Fontana di Carbonella (Crivoniell): se imbocchi la strada per la contrada Mezzana, passato il
“Timpòne di Mastr’Antonio”, ti puoi ristorare in
una piccola polla d’acqua che sgorga al fresco dei
lecci di quel bosco che di stende fino alla sorgente
della fiumara Avena. Anche in questa fontanella
veniva la gente per riempire i barili. In questa folta
macchia mediterranea si ricavava il carbone (a
crivonell) per il riscaldamento domestico e per
restaurare gli attrezzi agricoli nella “fòrgia”: è
certamente da questo che deriva il nome di
Carbonello (o Carbonella).
Fontana della carrara dell’orto: scendendo da
Carbonello, quando arrivi alla masseria
“Garibaldo”, puoi deviare verso il canale della
Mezzana e di fronte alla vecchia masseria Prinsi
(ctr. Alvani) incontri la fresca e abbondante fontana della Carrara dell’orto, utilizzata dai
contadini
per bere, per irrigare gli orti e per abbeverare il bestiame.
Fontana della Mezzana: un’altra piccola sorgente d’acqua potabile si trova giù, nella vallata,
quasi
nella proprietà dei Mundo. Un pochettino più sopra, a destra della casella di Leonardo Rago (u
Gnòre), c’è un altro locus amenus: al fresco del mirto e del leccio scorre lentamente nello
“scìfo”
un’altra piccola sorgente, ma basta solo per riempire l’orciuolo del vignaiolo.
Nella bella zona pianeggiante della Vigna della Corte, presso la masseria “Mròsio” si trova pure
un
po’ d’acqua potabile. Ma se torni verso la Mezzana e scendi ancora più giù, proprio sul costone
dell’Avena, e di rimpetto ai ruderi del vecchio Mulino degli Alvani, trovi un altro “pisciòttolo”
che
si perde nel rigagnolo di detta fiumara.
(da Cacasòdo alla Destra, Matòsa, Coppòne e Maristella)
La Vùriga di Dilla, la Sorgente di Massenzio, la fontana del Paradiso: passata la Mezzana e
varcati i due canali, inizi l’aspra salita verso Cacasòdo. Questa è una zona discretamente ricca
di
ulivi ma povera d’acqua. I contadini, se non scendono all’Avena, si dissetano presso la “Vùriga
di
Dilla”. Più sopra, nella vecchia masseria dei “Massenzio” c’è una fontana più fresca e abbondante
ma è privata. Proseguendo verso Strafàce, vedi un terreno pianeggiante, dove una volta c’era un
grande stagno (u guacch’i Cacasuòde), oggi prosciugato dalla siccità. E presso la masseria
Scillone
c’è ancora la fontana del Paradiso: gli Scillone si gloriavano di questo nome e anche di
Panebello,
nella cui contrada si trovava la loro proprietà.
I contadini albidonesi che vivono nelle masserie della Serra di Strafàce (gli Aurelio Petre’i
Rizz, i
Tomasàri ecc.) andava alla fontana di Trastullo, nella foresta di Strafàce, territorio di
Amendolara.
Passando burroni e sterpaglie, tra piccole masserie ormai abbandonate, trovi la fontanella di
Mìcari, ai piedi dell’omonima “timpa”, che si trova sotto il Timpòne Vetrìci. Ancora più in là,
sulla
strada (oggi pista rotabile) che arriva a Serra del Palazzo, c’è la piccola Fontana Cerusso, che
doveva servire a tutti i contadini della zona, i quali sfruttavano anche qualche pozzo.


Scendendo verso la grossa masseria dei “Medici” (Rago) c’è pure qualche piccolo segnale d’acqua;
sotto la masseria Dramisino (inghiottita dalla frana del 1973), sulla pista Destra-Càfaro, c’è la
Fontana di Perlìno, ma porta poca acqua: serve solo per dissetare il passeggero.
Tra le località Roccolo, Serra del Palazzo, Mercatante, Matosa, Papietro e Maristella trovi solo
piccole sorgenti che scompaiono appena arriva l’estate. Quei contadini caricavano i barili sugli
asini
e affrontavano lunghi viaggi per dissetarsi alle fontane del Pozzo della Corte, nel versante di
Amendolara. Alla masseria del Coppòne c’era pure una fontanella.
(Versante Avena- dalla Marina a Santo Brancato, Rosaneto alla Potente)
Acqua salata e per niente dissetante, dalla Marina a Marzano. Dinanzi alla masseria di Puzzoianni
c’è pure qualche fontanella, ma i contadini di Manca del Lacco, Manca di greca, della Pezza di
Rago e Marzano, dovevano ricorrere alla lontana fontana di Santo Brancato, sull’altura che
guarda Albidona. Ma Appena arrivava l’estate, i pozzi erano semore pieni di cavallette morte.
Da Santo Brancato, puoi scendere verso Marràco e ti ristori alle fontane della Vigna nuova e
della
Gattarella. Passato il canale del Tinto, c’è la fontanella della Defìsa. Al Pantano ci sono
piccole
sorgenti. Vicino alla Selva grande c’era “u guacche’i Nfiert, in località Cristali (masseria
Dramisino), a Rosaneto (masseria Mele), vicino la Trave e sotto Martucci, a Santappico, alla
Madonna del Càfaro, ci sono pure piccole ma buone sorgenti. Vicino al canale Salierno, sotto il
Corno, sgorga altra sorgente. Delle fonti solfuree della Potente e di Verte parleremo a parte.
Bacino montano
(da Promenzano,Piano Senise al Manganile)
Quando esci da Albidona e vai verso Piano Senise e Alessandria del Carretto, gli albidonesi
dicono
che “vàie dipiètt”, cioè sali verso la montagna. A tre chilometri dal paese, per la via verso
Alessandria del Carretto, passata la località Tarantìno, c’era la bella sorgente di Promenzàno (o
Provenzàno), e ancora più sopra, quella più piccola di Petrandrìa (Pietro-Andrea ?). La fontana
di
Promenzàno era sopra l’orto col grosso gelso nero, poi è stata sommersa dalal frana, ma forse,
c’è
ancora una piccola traccia di quell’acqua, che ristorava i viandandanti che facevano le strade
della
Recolla, del Manganile e di Alessandria.
Se dal Tarantìno ti sposti verso la sinistra e vai verso la Forestacaccia, incontri lo “scifo” di
Pozzicello, che disseta i contadini e i passeggeri che
provengono dall’Alichèto, da Frangairdi, dalle
campagne di Plataci e di Alessandria. Ancora
all’interno della contrada Pozzicello e nel bosco
della Forestacaccia ci sono le fontanelle di
Forestacaccia, di Rubino, u Mrècio dell’orto e il
“pisciòttolo” di Massènzio.
Proseguendo verso la terra di Alessandria, i
contadini del Gioro e Sommocastello usano l’acqua
di Fontana della pietra, e sull’attuale provinciale
c’è la sorgente della Calcinara (prima rete idrica per
Albidona); verso Piano Senise, piccole sorgenti e
qualche pozzo. Pure sotto la Timpa di santa Lanùra c’è qualche piccola fontana, e nella valle di
Fonso e del canale del Forno parlano del famoso inghiottitotio di origine vulcanica, conosciuto
con
lo strano nome de “a Vucche’i Summ”.

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Quelli di Piano Senise si servono dei pozzi privati e di piccole sorgenti, ma arrivano anche alla
vicina Calcinara e anche alla Fontana Seque, nella Recolla di Castroregio.
Invece i cintadini della Garoccella vanno alle
fontane della Foresta (che è del Comune di Oriolo).
Dal Sacàmolo e il Manganìle. Dalla Recolla,
passando per la Timpa di piedi-scala, i contadini di
quell’aspra terra di pietre e ginestre usavano le
fontanelle e i piccoli pozzi di Valle grotta, Sacàmolo
e Manganìle, ma la gente di quest’ultima contrada
passava alle fresche fontane di Acquafredda, nella
Foresta di Castroregio.
Le fontane solfuree
Nel territorio di Albidona ci sono anche due sorgenti di acqua sulfurea, la gente dice “àcqua
zuffarìgn”. Una si trova nel bosco della Potente e un’altra sulla via della contrada Verte, dove
una
volta era una fornace di laterizi.
La Fontana Fetente. Su questa fontana, di straordinaria rilevanza storica e e scientifica, di cui
hanno scritto una diecina di esperti e di autori, compreso qualche docente universitario, abbiamo
fatto una ricerca a parte.
E’ da tempo che la gente vi attinge acqua, per usi terapèutici. Bevendola, avverti soltanto
l’odore
dello zolfo, ma non è sgardevole. Occorre un’ora di viaggio a piedi, per raggiungerla. C’è un
sentiero tutto in discesa, che parte dalla “Timpa” di San Rocco, attraversa le vigne e si immette
subito nel bosco della Potente. “Questo è veramente un locus amenus !”, ha esclamato un
porofessore di Bari, appena ha visto questa mitica fonte, nascosta nel bosco. L’altro sentiero,
un po’
disagevole, parte dalla Madonna del Càfaro.
Fontana di Verte (o Fornace). Anche questa è conosciuta dagli albidonesi, ma quando la bevi, più
che lo zolfo si avverte il sapore del sale. Non è stata menzionata da alcuno autore che si è
interessato delle acque minerali della Calabria.

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LEGGENDE E CREDENZE POPOLARI SULLE FONTANE
La fontana fetente. Ne abbiamo accennato poco sopra, ma la leggenda, sempre se il poeta greco
Licòfrone, lo storico Strabone e altri autori si riferiscano ad Albidona, è che in questo luogo,
che
ricorda anche i profughi della guerra di Troia, i quali avrebbero fondato Albidona, si sarebbe
verificato un sanguinoso scontro tra Ercole e i giganti Flegrei: il sangue si sarebbe mischiato
all’acqua della locale sorgente e avrebbe dato origine alla “fontana fetente”..
La fontana della Madonna del Càfaro. In questa vallata c’era una fontanella di acqua fresca, la
Madonna apparve a una bambina e fu eretta una Cappella, dove il 15 agosto si festeggia la
Madonna del Càfaro. Nel lontano Medioevo, questo luogo ospitava una fiorente abbazia di monaci
basiliani. Purtoppo, anche questa fontana della Madonna è “seccata”.
A Vucche’i Summ. a Vucche’i Summ (la grande bocca ?) si trova presso il canale del Forno. Ci
dicono i contadini di quei luoghi che si tratta di “una profondissima buca che di tanto in tanto
emana acqua bollente e rossa come il fuoco. Una volta, i pastori sciolsero le cordelle dalle loro
scarpe, le unirono una all’altra, appesero una pietra a uno dei due capi, la calarono nella buca
e
non riuscirono a toccare il fondo”.
E il Padula (Protogea), passando al Piano Senise di Albidona, parla di “tremuoti” e di “fango
bollente”: il canale del Forno e Piano Senise sono vicinissimi !
Promenzano. E’ sulla vecchia “trazzèra” Albidona-Alessandria. La gente ricorda e teme: “ l’acqua
della fontana di Promenzano è pesante e fa morire i cristiani !”
Una volta, un povero trebisaccese, arrivò assai stanco e sudato, si fece una gran bevuta, morì
forse
di bronchite e da allora, la sorgente di Promenzàno si procurò questa brutta fama.
Il Corno.”L’acqua della fontana del Corno è buona, ma bisogna stare attenti alle sanguette (le
sanguisughe) che se le ingoi con l’acqua, quelle si attaccano dentro la gola, ti succhiano il
sangue
e ti fanno seccare come il legno”.
Santo Brancato. “Anche in questa sorgente bisogna stare attenti alle sanguette”.
A funtana scordata. “Questa fontana si trova vicino al cimitero ma nessuno dei vivi può trovarla.
La conoscono soltanto i morti. Quando uno muore si ricorda di tutto e di tutti, per tre giorni e
ter
notti; poi i morti vanno a bere alla Fontana scordata e dimenticano ... tutto e tutti”.
Questa credenza popolare, come tante altre di Albidona, che è lontana figlia della Magna Grecia,
ci
ricorda il fiume Letè della mitologia classica, la cui acqua rendeva smemorati i defunti. Anche
nel
Purgatorio di Dante (canto 28°, v.130) si parla dei fiumi Letè ed Eunoè.
Nota. Per la Fontana fetente, vedi Bibliografia dell’apposita ricerca
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Gli stagni (i guàcch)
(da Mostarico a Straface)
-
La parola guacch vuol dire laghetto, stagno. Nel territorio di Albidona ce n’erano parecchi ma
sono
scomparsi quasi tutti. Alcuni sono stati appositamente prosciugati perchè creavano malaria,
insetti e
vermi molesti. Altri sono scomparsi anche per il fenomeno dell’accentuata e progressiva siccità
di
questi ultimi anni. Infatti, la gente del luogo non fa che ripetere: “una volta, nevicava e
pioveva di
più”.:

u Guàcch nìguere. Cominciamo dalla zona di Mostarico: qui si parlava del “laghetto nero”, perchè
si anneriva dal fango. Era sulla via che, seguendo la cresta da Albidona al Mostarico, portava a
Trebisacce: “u guàcch nìguere” si formava precisamente vicino alla masseria di Michele Lizzano
(Converto), dove anche oggi, specie quando piove, trovi una larga pozzanghera che invade tutta la
pista rotabile. In quei pressi “il mietitore Giardiniell era stato ucciso dal fulmine. Una notte,
un
mulattiere che saliva da Trebisacce vide quel morto che raccomandava la moglie di portare in
chiesa il grano promesso per il rinfresco della sua anima”.
u Guàcch d’ Martìne. Sotto contrada Martino, dopo la frana del ‘73, si era quasi otturata la
fiumarella Pagliara e si era formato un vero e proprio invaso d’acqua.
u Guàcch d’a Villa-vrùche. Attraversato il torrente Pagliàra e fatta la salita della Masseria dei
Ferrari, si trovava dinanzi a un altro stagno: u Guàcch d’a Villa-vrùche. Si formava in un
fossato
delle terre dello “Sc/cardàro” (oggi di S. Adduci) della contrada Valle bruca; è stato
prosciugato
con una rottura verso il basso.
u Guàcche’i Ddìll. Si è formato nelle terre di Puzzoianni (di Leonardo Paladino-Dillo) durante la
rovinosa alluvione del 1973. Subito dopo comparvero le gallinelle d’acqua, che prediligono questi
stagni. E’ stato prosciugato dopo pochi anni da quel sommovimento franoso.
u Guacche’i Nfiert. Nella salita che va dal Pantano alla Selva grande, dove ancora oggi si vedono
tracce di giunchi, si trovava uno stagno. “Vicino a questo stagno c’era una capanna dove viveva
un vecchio pezzente di nome Nfiert. Costui si recava periodicamente in paese per chiedere
l’elemosina, ma un giorno lo trovarono annegato nel laghetto e per questo gli rimase il nome de’
u guàcche’i Nfiert”.
u Guàcch d’a Manch (a Manche’u guàcch). Forse anche tra Puzzoianni e Marina della Torre,
dove è la località Manca del lago (o del lacco), si formava qualche stagno d’acqua.
u Guàcche d’u Vuòsc/ch’i Ntuòne (il dio Guàcco).
In fondo al bosco Antuòno, sulla fiumara Avèna, si era formato un largo e profondo stagno, sempre pieno d’acqua, che i pastori e i
contadini della zona usavano per lavarci le pecore. Un vecchio pastore di Chidichimo ci racconta:
“questo lago era come un dio terribile e anche benigno; ci faceva lavare le pecore, però se ne
prendeva una all’anno, perché, mentre immergevamo le bestie nell’acqua, una di esse sprofondava
in basso e non tornava più a galla, era quella che spettava al dio Guacco”.
u Guacche’i Santàppeche. Si era formato nella contrada Santàppico, nella masseria Urbano. I
contadini vi lavavano le pecore, prima della tosatura di maggio e anche per i giunchi usati per
fare fiscelle di formaggio. E’ stato prosciugato e bonificato dal proprietario di Santàppico.
13 u Guacch’i Scillòne. Passata la fiumara Avèna, se salivi ancora verso la contrada Cacasòdo,
vicino alle piccole casette rurali dei Colàscio e Mortaràro, incontravi il laghetto più conosciuto del
territorio: u Guàcch’i cacciatòre. Qualcuno lo chiamava anche “u guàcche’i Scillòne” perchè
dicono che si trovasse in un terreno della masseria Scillone, nella zona di Cacasòdo. Fino agli
anni ’60 era famoso per la l’abbondanza di rane che alcuni buongustai venivano a prelevare anche da
Milano.
I Vurigòni. Vùriga è la fontana che si riempie senza pisciòttolo (che è il canaletto di scolo
dell’acqua che fuoriesce dalla vena), ma dalla filtrazione sotterranea della stessa acqua. Si
dice, in questo caso, che “l’àcqua sùriede”. Invece, i Vurigòni sono delle grandi pozze d’acqua, che si formano nelle insenature delle
fiumare, o vengono artificialmente formate dai pastori per lavarci le pecore, prima della tosatura.

Fonte: Giuseppe Rizzo

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