Albidona Ieri Albidona Oggi - Cultura, Attualità, tutto su Albidona


Vai ai contenuti

Menu principale:


Padre Luigi di Albidona

Arte e Cultura > Personaggi Antichi

Padre Luigi d’Albidona

Nelle lotte contadine e antiborboniche del ’48 calabrese si distinsero anche preti e monaci di sincera
fede liberale. Il cappuccino padre Luigi D’Albidona è un personaggio della rivolta antiborbonica.
All’anagrafe, si chiama Cataldi Luigi, nato nel 1818 dal calzolaio Pasquale e dalla filatrice Maria
Rago. Ancor giovinetto, fu forse mandato a studiare nel convento dei Cappuccini di Cosenza o in
un’altra casa religiosa della provincia. Fu ordinato sacerdote, a 25 anni di età, nel 1841, assumendo
il nome di Padre Luigi d’Albidona. La sua famiglia era povera, ed era stata aiutata da don Vincenzo
Scillone, fratello di altri due sacerdoti: D. Benedetto e D. Francesco.
Dopo la sua ordinazione sacerdotale, il giovane francescano, essendo sottoposto alle regole della
vita monastica, peregrinò nei conventi di Roma, Napoli, Capodimonte, Capua, Caserta e altrove.
Poi tornò in Calabria e venne assegnato al convento dei Cappuccini di Torano Castello, non lontano
da Cosenza. Anche in questo piccolo comune incominciano a formarsi delle fazioni di opposte idee
politiche: liberali contro borbonici. A Torano e a Sartano i fratelli Baviera sono liberali impegnati;
nella vicina Cerzeto c’è pure un circolo rivoluzionario, capeggiato dall’
anarchico Giuseppe
Petrassi. Padre Luigi, pur vivendo in convento, ed essendo già legato ai diseredati di Torano, stringe
amicizia sia col
rivoluzionario Petrassi, che con i fratelli Baviera.
È già scoppiata la rivolta del maggio napoletano, poi sanguinosamente repressa; anche a Cosenza,
capoluogo di Calabria Citra, iniziano i preparativi dei moti liberali, per reagire alla repressione
borbonica e per partire verso la capitale Napoli. È il sandemetrese Domenico Mauro, a organizzare i
vari rivoluzionari dei paesi della provincia. Dalla Sicilia, precedentemente insorta contro re
Ferdinando II°, vengono mobilitati anche i volontari liberali, i famosi
Siciliani, guidati dal
piemontese generale Ribotti. Costoro, dopo aver sbarcato lo Stretto, attraversano tutta la Calabria,
per giungere nel cosentino, verso Campotenese e Castrovillari. Qui era stato stabilito
l’appuntamento di Mauro e delle varie truppe, che i reazionari chiamano
bande. Dovevano confluire
da tutti i paesi, per poi unirsi al Ribotti.
La compagnia di Torano era stata probabilmente incaricata, prima che si dirigesse a Castrovillari, di
andare verso Paola per contrastare lo sbarco della truppa regia di Busacca; per questo, agli inizi del
giugno ’48, si parte da Torano e si giunge a Fuscaldo, sul Tirreno, dove vengono disarmate le
guardie regie, doganali e marittime. Da Fuscaldo, a poca distanza da Paola, uniti ad altri rivoltosi
della zona, e dopo avere fatto discorsi “sediziosi” tra la folla, parla anche il cappuccino di
Albidona. Subito dopo, i toranesi si dirigono verso la cittadina di San Francesco. Attraversando la
montagna e l’entroterra, giungono nel centro albanese di Lungro; di qui a Campotenese, e infine a
Spezzano Albanese e Castrovillari. In questi luoghi, Padre Luigi si incontra senz’altro con la
“banda” dei 17 albidonesi, suoi compaesani, tra i quali si trova anche suo fratello Benedetto. Dopo
lo scontro e la disfatta di Castrovillari, tra i borbonici di Busacca e quelli di Ribotti, le squadre dei
vari paesi vengono disperse e ognuno cerca di mettersi in salvo, nascondendosi o facendo ritorno al
proprio paese. Padre Luigi, stanco e deluso, dopo alcuni giorni di viaggio, torna a a Torano,
giustificandosi col dire di aver seguito i rivoltosi perché questi ultimi gli avevano sottratto i muli del
convento, da dove era stato mandato a Cosenza per fare delle spese.
Padre Luigi viene arrestato; in data 24 dicembre 1851, vigilia di Natale, presenta una memoria
scritta di suo pugno dove smentisce tutte le accuse e si definisce “prigioniero politico”.
Il cappuccino e i fratelli Baviera sono accusati di “misfatti illeciti”, compiuti ai danni della
popolazione toranese, e riconosciuti colpevoli di “
reato di associazione in banda armata, criminosa

organizzazione per distruggere e cambiare il governo, incitamento degli abitanti del regno ad

armarsi contro l’autorità regia, pronunziamenti di discorsi sediziosi in luogo pubblico,
instaurazione del comunismo
”.
Gli imputati si dichiarano ancora innocenti. Ma la Corte condanna Padre Luigi d’Albidona a 18 anni
di ferri, al pagamento di 300 ducati e a tutte le spese giudiziarie. La sentenza gli viene letta il 1°
marzo del 1852. Deportato a Nisida, nel golfo napoletano, dove è la prigione dei religiosi, e non
lontano dall’isola di Procida, dove sono già internati gli altri albidonesi (Rizzo, Palermo, Minucci,
GB. Scillone e Dramisino), il Cataldi, il 15 giugno dello stesso anno si vede ridotta la pena a 13
anni. Muore dopo quattro anni di dura prigionia, il 26 marzo del 1856, nello stesso Bagno penale di
quell’isola.
Padre Luigi è citato anche da: Giovanni Laviola, Antonio Basile e da altri storici che si sono
occupati delle rivolte del ‘48. Dei sei condannati politici albidonesi (
galeotti, secondo la definizione
di Attilio Monaco), ben quattro di essi muoiono nei Bagni di Procida e Nisida (Rizzo, Palermo,

Dramisino e Padre Luigi), mentre ne escono vivi Pasquale Minucci e Gianbattista Scillone.

Fonte: G. Rizzo

Home Page | Storia e Tradizioni | Il Comune | Arte e Cultura | Feste Folklore Tradizioni | Foto e Video Galleria | Attività Economiche | Contatti | Mappa del sito


Torna ai contenuti | Torna al menu