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Don Vincenzo Mele

Arte e Cultura > Personaggi Antichi

Don Vincenzo Mele
(u prièvete’i Strònguele)

Un uomo abbastanza alto di statura, quasi secco e diritto, anche se nella vecchiaia camminava
appoggiato a un lungo bastone nodoso e levigato dall’uso e dal tempo. Il suo andare era lento e
maestoso ma senza boria. Anche il suo viso era allungato e coperto da una barbetta bianca, che
forse radeva una volta al mese. Quando la gente lo incontrava per strada, lo salutava con rispetto e
lo chiamava “don Vincenzo”. Egli rispondeva in maniera gentile e concisa, ma ti fissava con uno
sguardo serio e penetrante.
Sì, era quel don Vincenzo Mele, nato nel 1882 da Giuseppe (Sceppe’i Strònguele) e da Antonia
Gatto, sorella del sacerdote Vincenzo Gatto (u prièvete’i Marmotta). Alla fine dell’800 era iniziata
la grande emigrazione verso l’America; la famiglia degli Strònguele era impegnata nel lavoro di
una buona masseria ma il reddito non bastava. Insieme a tanti altri albidonesi, partirono per
l’America anche due figli di Giuseppe Mele: Francescantonio e Michele; poi, li seguì anche
Vincenzo, il più piccolo. Vincenzo trovò un ambiente meno sofferente di quello che aveva lasciato
al suo paese; gli sembrava che i suoi fratelli si fossero bene inseriti nella società americana,
esibivano anche un po’ di lusso, ma alla fine gli fecero capire che “in America, per stare tranquilli,
occorreva adeguarsi anche alle circostanze più difficili e rischiose, compresi il mercato nero, la
criminalità e le prime avvisaglie della mafia italo-americana.
Il giovinetto Vincenzo Mele, che era sensibile e intelligente, si sentiva chiamato da una vocazione
morale e dalla propria coscienza; salutò i fratelli Michele e Francescantonio e tornò in Albidona.
Verso il 1895 era ormai grandicello ma andò a chiudersi nel seminario vescovile di Cassano. Studiò
con passione e profitto; conobbe i vescovi Evangelista di Milia, Antonio Maria Bonito, Pietro la
Fontaine, Giuseppe Bartolomeo Rovetta, Bruno Occhiuto e Raffaele Barbieri. Venne ordinato
sacerdote nel 1908, da mons. La Fontaine, poi patriarca di Venezia e anche in fama di santità. Il
giovane sacerdote Mele era uno dei prediletti del vescovo La Fontaine, come attestano anche
alcune lettere che si sono scambiate lungo quegli anni lontani e che poi furono prelevate da un
prelato del Vaticano, quando si parlò della causa di beatificazione del patriarca di Venezia.
La guerra del 1915-18 fu un’altra dura esperienza per don Vincenzo Mele, che vi ricoprì il grado di
tenente cappellano. Alla fine del sanguinoso conflitto mondiale rientrò in Calabria e fu mandato
nella parrocchia di San Nicola Arcella, dove l’ambiente isolato e depresso gli riservò altre
disavventure. Ebbe due figli con certa Santa Labate: Antonietta e Peppino. La prima morì in
Albidona, proprio nella settimana in cui doveva sposarsi, il secondo fu disperso nella campagna di
Russia. Lo sconsolato don Vincenzo li pianse per tutta la vita.
Dopo i fatti di San Nicola Arcella, il vescovo Occhiuto lo rimosse dalla parrocchia, e don Vincenzo
rientrò in Albidona, non solo con Santa ma con una seconda donna chiamata Mariagrazia. Il
vescovo tentò di “salvarlo”, mandandolo in Alessandria del Carretto (nella diocesi di Anglona-
Tursi), ma alla fine venne ridotto allo stato laicale ed ebbe altri figli.
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Anche se occupato e ... preoccupato per la nuova famiglia, l’ex prete coltivava le sue terre e potava
accuratamente anche la sua bella vigna di Mostarico, la terra del mosto e del buon vino cerasuolo.
Quando raccontava della sfortuna dei suoi figli Antoniella e Peppiniello, gli scendevano grosse
lacrime dagli occhi, ma certe volte, quando si trovava tra amici, faceva l’ottimo e arguto
conversatore. Discuteva con forbito e corretto linguaggio, e spesse volte citava a memoria molti
passi in latino delle lettere di San Paolo. La sua casa, che era sotto il palazzo Chidichimo, era quella
degli “Strònguele”; don Vincenzo conservava una biblioteca con molti volumi rilegati in pelle
marrone, chissà dove sono andati a finire. Don Vincenzo Mele (u prièvete’i Strònguele) morì a 90
anni, nel 1972.
Per il carteggio Mele-La Fontaine vedi Silvio Tramontin in Rivista storica calabrese, anno VII°,
n.1-4/1986.


Fonte: G. Rizzo

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