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I Moti del 1848

Storia e Tradizioni

1848 : I moti ‘comunisti e antiborbonici.


Le lotte contadine e antiborboniche del 1848 ebbero delle ripercussioni anche nell’Alto Jonio cosentino. Nei pacchi dei processi del ’48, conservati nell’archivio di Stato di Cosenza, vengono menzionati un centinaio di imputati, accusati di ‘comunismo’, di bande armate e di discorsi faziosi ‘volti a sovvertire l’ordine’ dei nostri pacifici paeselli, dove regnano l’ignoranza, la fame e la miseria.
L’istruzione, come tutti sanno, a causa di una legge dei napoleonici, era impartita dai parroci.
Costoro, per dire la verità, non erano tutti all’altezza di insegnare agli altri; inoltre, soltanto poche famiglie avevano la possibilità di fare apprendere qualcosa ai figliuoli. Quindi, non è una sorpresa quando leggiamo in alcune vecchie delibere comunali frasi del genere : ‘Firma il delegato assessore per il sindaco illetterato’,… qui segnati di croce i decurioni del Comune e ‘non firma perché illetterato’.

Miseria morale e intellettuale.

Questa era la miseria morale e intellettuale. Apprendiamo, mentre esaminiamo e ricuciamo certi vecchi fatti, da che cosa era causata, invece, la miseria economica e sociale della Calabria e in particolar modo dei nostri sperduti Comuni dell’Alto jonio casentino. Anche dalle nostre parti, sebbene in limitate proporzioni, le leggi napoleoniche sull’eversione alla feudalità e sull’incameramento dei beni della manomorta avevano sortito gli stessi effetti delle ‘difese’ della Sila, perché, come ricorda il compianto prof. Umberto Cadora, gli acquirenti dei beni ecclesiastici, precedentemente incamerati, furono vecchi creditori dello Stato, amici e partigiani del nuovo re Giuseppe Bonaparte e grossi rappresentanti del mondo commerciale e finanziario.
Già Pasquale Villani aveva scritto che ‘fu soprattutto la borghesia provinciale ad avvantaggiarsene’.
Nemmeno la media e piccola borghesia riuscì ad accaparrarsi delle ‘difese’ migliori; essa spese soltanto da 10 a 100 ducati, mentre i grossi spesero intorno a 1200 ducati.
Però, accanto a questi ‘grossi’, De’ Nobili, Gallo, Prisco, Barraco e Gagliardi, s’erano insediati, sebbene ai margini del tavolo, anche alcuni notabili, i quali ebbero la fortuna di essere stati riconosciuti tali forse perché vissero in questi paesi, più fortunati ( e forse anche più prepotenti degli altri ) dei miseri ‘cristi di carne’ che prima di essere stati osservati dall’abate Padula e Cesare Lombroso, non possedevano nemmeno un fazzoletto di terra.
Infine, appresso ai notabili del paese cercavano di emergere anche alcuni piccoli possidenti che amavano fregiarsi col don, praticavano ancora l’infame legge del ‘maggiorasco’, facevano figli preti e monaci e qualcuno costringeva anche i cadetti a rimanere scapoli. E da questo si spiega anche il Doloroso fenomeno dei figli illegittimi, nati dal ‘padroncino’ che violentava la povera serva o la moglie del ‘forese’.
Insomma, era una gerarchia di signori, signorini e signorotti. Alla periferia, proprio come nel Medio evo, erano la massa dei servi della gleba, de poveri ‘bracciali’, dei calzolai, dei muratori e delle ‘filatrici’ (tutte le donne del popolo erano definite in questo modo, poiché in ogni casa c’era il laborioso telaio).
Però, questi notabili, i signori, i signorini e i ‘don’ difficilmente riuscirono a far lega; anzi, si odiavano e si contrastavano, talvolta anche ferocemente, per interesse personale, beghe municipalistiche.


Nell’Alto Jonio

Il prof. Giovanni La Viola ne ‘Il processo ai liberali di Amendolara’ sottolinea più volte questi deteriori aspetti delle faide paisane. Ad Albidona, per esempio, i signori più ‘forti’ erano i Chidichimo, accusati di prepotenze inaudite e di ‘grandi usurpazioni’; avversari battaglieri erano i Dramissino e gli Scillone, due famiglie di mediocri possedenti, liberaloidi antiborbonici, affiancati da numerosi nullatenenti e processati insieme a questi ultimi, dopo i falliti moti ‘comunisti’ del 1848.
Nel comune di Albidona, i Chidichimo erano riusciti, con le loro disponibilità finanziarie (e non solo con esse) ad acquistare non solo il feudo del duca di Campochiaro, Ottavio Mormile, ma anche le migliori quote demaniali e comunali e soprattutto le ‘migliori’ parti dei privati. Il famoso Don Pasquale, il cui rapimento da parte dei briganti è ricordato dal Padula, andava col cavallo, e col bravo Zijuòghe appresso, e marcavano con la C (iniziale dei Chidichimo) i migliori uliveti dei cittadini albidonesi. Cosicché i ‘bracciali’ di Albidona erano costretti a vivere nell’estrema indigenza; una buona parte di ‘affamati’ chiedeva protezione ai Chidichimo e si accontentava di
fare il bovaro, il guardiano, il capraio e spesso anche la spia.
Però un buon numero di ardimentosi, guidati (e purtroppo talvolta anche strumentalizzati) dai borghesi liberali locali, appena sentita l’eco dei moti ‘comunisti’ per la riconquista dei terreni usurpati. Sviluppatisi in tutta la provincia, si diedero ad occupare boschi e terre, per sfamarsi e lavorare. A queste occupazioni contadine erano interessati i Dramisino e gli Spillone, però il moto fallì per mancanza di organizzazione e per la responsabilità dei Chidichimo che ebbero la meglio, facendo arrestare quasi tutti i ‘rivoltosi’ i quali avevano il torto e la sfortuna di non essere solo
poveri, ma anche ‘comunisti’, antiborbonici e antichidimiani.

Moti contadini e Ferdinando II

Da Albidona i moti contadini e le occupazioni di terre (aprile del 1848) si estesero ad Amendolara ed altri centri dell’Alto Jonio. Tutti chiedevano un pezzo di terra; Ferdinando II, è scritto in una dichiarazione del decurionato di Albidona’……Quando visitò le Calabrie transitando per la rada di Albidona accettò ‘nelle sue sacre mani’ la domanda per dissodare alcuni boschi comunali. Il re acconsentì, però i Chidichimo si opposero decisamente. E vi riuscirono. Perciò i ‘comunisti’ di Albidona ebbero la peggio e soffrirono anche la galera. E così fu anche ad Amendolara, Castroregio, Montegiordano, Rocca Imperiale, Roseto, Trebisacce, Plataci, S. Lorenzo Bellizzi e Villapiana.
In tutti questi paesi dell’Alto jonio, possidenti liberali, preti e monaci antiborbonici, contadini artigiani e braccianti nullatenenti e ‘padri di numerosa famiglia’ furono processati non solo per le occupazioni delle terre, ma anche per ‘istigazione a ribellarsi contro l’Augusto sovrano Ferdinando’.


Fonte: Giuseppe Rizzo

Tribuna (di Rossano) n.12/1987/ Pag. 14

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